Dividere la classe in gruppi distribuire l'archivio e
procedere con la:
PRIMA FASE: scegliere
Siete storici e cercate notizie sulla scuola romana. Tra
i seguenti testi e documenti scegliere quelli che servono per gli scopi di ricerca.
SECONDA FASE: interrogare
Sottolineare
con colori diversi le informazioni che riguardano :
Le materie
di studio
La disciplina
Le punizioni
L’abbigliamento
Gli
insegnanti
TERZA FASE: interpretare
Immaginare
di essere un bambino romano e raccontare
tua giornata
QUARTA FASE: simulare
Dopo la
lettura di testi e documenti stendere la
sceneggiatura per una drammatizzazione
Assegnare
ruoli e personaggi
Procurare il
materiale necessario e mettere in scena
Plutarco (filosofo
e scrittore greco) afferma che la prima scuola pubblica a Roma fu aperta verso
la metà del III secolo a.C. da Spurio Carvilio(console
romano) ma altre testimonianze d'autore considerano la scuola un'istituzione
molto più antica. L'antico costume romano affidava l'istruzione alla madre
nella prima infanzia e in seguito al padre, il quale doveva anche trasmettere
ai figli i valori religiosi, sociali e civili. In genere sin dalla fine della
repubblica, la famiglia affidava i figli a un pedagogo privato (di solito
greco) o li mandava a scuola. L'antico romano smetteva gli studi quando sapeva
leggere, scrivere e far di conto; tra i 12 ed i 15 anni le ragazze smettevano
di studiare, per sposarsi.
Negli ultimi anni della repubblica e durante l'impero l'istruzione del
giovane passava per tre gradi: l'insegnamento del litterator e successivamente
quello del grammatico costituivano il corso normale degli studi elementari e
medi; seguiva la scuola del rhetor, che addestrava i giovani nell'eloquenza,
non era molto frequentata.
Le lezioni elementari si facevano nella scuola del ludi magister, che per
una modesta mercede insegnava a leggere e a scrivere. Il litterator insegnava a
leggere e scrivere, imparati questi rudimenti si passava al perfezionamento di
ciò che aveva imparato; a questo pensavano: il Librarius che si occupava di
perfezionare il ragazzo nella lettura e nella scrittura, il calculator che
insegnava le varie operazioni aritmetiche ed il notarius che insegnava a
stenografare.
erminati gli studi elementari cominciava sotto il
grammaticus l'insegnamento medio. Anche questo secondo gli usi e le possibilità
delle famiglie veniva impartito in casa o in una scuola pubblica tenuta da un
privato. Le prime scuole pubbliche di grammatica furono aperte verso la metà
del II secolo a.C. Nella scuola del grammaticus si imparavano la lingua e la
letteratura greca e latina, studiandole soprattutto sui poeti, e un corredo di
nozioni fondamentali di storia, geografia, fisica e astronomia. Nello studio
dei testi lo scolaro imparava a ben pronunciare, a leggerli con sentimento, a
chiarirne il contenuto e ad intenderne la metrica. Degli autori greci il più
letto era Omero; fra quelli latini durante la repubblica, Orazio, Andronico ed
Ennio. Il maestro obbligava gli scolari ad impararne dei passi a memoria e a
farne delle esposizioni orali e scritte.
Il rethor era professore di eloquenza, il terzo grado
dell'istruzione (ragazzi sui 16 o 17 anni), le prime scuole di retorica furono
aperte nel II secolo a.C. Gli studenti apprendevano le tecniche dell'arte del
dire (dicendi praecepta): l'inventio, cioè il trovare gli argomenti da esporre;
l'elocutio, la scelta dei modi espressivi; la memoria, l'apprendimento a
memoria della composizione; l'actio, la corretta maniera di presentare il
discorso. Si esercitavano quindi ad applicare queste tecniche con esercizi
scritti ed orali: consistevano in composizioni più varie di quelle assegnate
dal grammaticus e graduate secondo la difficoltà, invece oralmente si facevano
degli esercizi pratici dell'eloquenza cioè le suasoriae o controversiae. Le
suasoriae erano monologhi nei quali noti personaggi della mitologia o della
storia prima di prendere una grave decisione ne valutavano gli argomenti
favorevoli e contrari; nelle controversiae si svolgeva un dibattito fra due
scolari che sostenevano due tesi opposte. Alle esercitazioni davanti al retore
poteva essere ammesso il pubblico anzitutto le famiglie degli scolari. Il
completamento degli studi di retorica avveniva poi in Grecia, soprattutto ad
Atene e a Rodi, dove si trovavano anche scuole famose di filosofi.
La scuola nell'antica Roma
I primi maestri del bambino romano erano il padre
e la madre. La madre si preoccupava che il figlio crescesse con buoni sentimenti educandolo con
dolcezza ma allo stesso tempo con severità, mentre il padre si curava dello sviluppo fisico e del
futuro del bambino. Gli insegnava a nuotare, a cavalcare e a combattere; poi gli insegnava a
scrivere e a leggere e gli faceva conoscere le leggi dello Stato, alle quali avrebbe dovuto obbedire
una volta cresciuto.
Col crescere della potenza di Roma quest’usanza
cominciò ad essere trascurata, in quanto la ricchezza entrò in molte famiglie e i genitori
non avevano più tempo di educare personalmente i figli.
I bambini delle famiglie nobili vengono allora
affidati a un paedagogus, cioè un pedagogo, uno schiavo istruito che aveva il compito di
accompagnare ovunque il bambino: a scuola, a passeggio, agli spettacoli…
A 6 anni i bambini cominciavano a frequentare la
scuola del ludi magister, simile all’attuale scuola elementare. I maestri dell’Antica Roma però
insegnavano non in grandi edifici, ma in qualche semplice stanzetta provvista solo di sgabelli e
di una cathedra, una seggiola con braccioli su cui sedeva l’insegnante. Si svolgevano sei ore di
lezione al giorno con una piccola interruzione a mezzogiorno. Si faceva vacanza ogni nove giorni e
nei giorni festivi (che a Roma erano molti!).
Non esistevano però le vacanze estive; la scuola
cominciava alla fine di marzo, dopo una festa
dedicata a Minerva, e durava otto mesi.
In questa scuola i fanciulli romani imparavano solamente a leggere, a scrivere e a fare i calcoli
usando il “trittico”, un insieme di tavolette di cera incernierate fra loro a formare una specie di libro. La disciplina era molto rigida e gli alunni indisciplinati venivano puniti con la verga o la ferula, una frusta di cuoio.
A 12 anni i maschi iniziavano il secondo livello di istruzione con il “grammatico”, un insegnante che veniva generalmente dalla Grecia, dall’Asia o dall’Egitto. Il grammatico impartiva lezioni di lingua e letteratura greca e latina, storia, geografia, fisica e astronomia.
Le femmine invece, quando considerate adulte, imparavano il mestiere di casalinga: imparavano a filare, tessere e a dirigere i lavori domestici svolti dagli schiavi.
Le famiglie più ricche non mandavano i loro figli alla scuola del grammatico perché esse potevano permettersi maestri privati e potevano addirittura comprarli. Questi maestri erano quasi sempre degli schiavi greci molto istruiti che insegnavano forse in un modo meno noioso perché avevano a disposizione molti più mezzi. Si racconta che per insegnare a comporre parole a un suo allievo, uno di essi avesse appeso al collo degli schiavi della casa dei cartelloni sui quali erano tracciate le lettere. In tal modo l’allievo faceva muovere nel giardino di casa sua tutti gli schiavi per imparare a scrivere una parola.
Un altro maestro invece fece preparare alcuni pasticcini a forma di lettere dell’alfabeto per destare l’attenzione dell’allievo.
I precettori privati venivano assunti dalle famiglie più ricche che volevano garantire alle proprie figlie un’educazione più completa. In questo modo anche le ragazze potevano imparare a suonare, a cantare e a studiare il Greco così come facevano i maschi alla scuola del grammatico.
A 17 anni, dopo aver terminato la scuola del grammatico, i ragazzi iniziavano il terzo livello di
istruzione, affrontato solo da coloro che avrebbero intrapreso la carriera politica o quella
dell’avvocatura. Gli studi superiori duravano due anni ed erano tenuti dai retori: ispirandosi agli illustri oratori greci e latini, insegnavano agli alunni l’arte della retorica, cioè l’arte
del “ben parlare”, la capacità di parlare bene e con facilità.
Alla scuola dei retori i giovani si esercitavano in finte discussioni, si preparavano ai discorsi che avrebbero pronunciato nel Senato o nel Foro.
A tal proposito bisogna notare l’esistenza dei Sofisti, un movimento intellettuale che si sviluppò in varie città della Grecia tra il 450 e il 380 a.C. i sofisti a disposizione il loro sapere dietro compenso; essi insegnavano ad esprimere le proprie idee in modo convincente. I sofisti preparavano i giovani greci che aspiravano a ricoprire un ruolo rilevante all’interno della politica.
In seguito, i giovani romani che volevano completare ulteriormente i loro studi dovevano
intraprendere un viaggio: ad Atene, a Pergamo, a Rodi o ad Alessandria dove poteva trovare validi maestri di filosofia, di geografia, di astronomia e di fisica più facilmente che a Roma, dove la maggior aspirazione per un ragazzino romano era vincere una gara di recitazione di poesia!
L'abbigliamento
Gli abiti indossati dalle donne romane erano molto simili a quelli indossati dagli uomini dai quali si differenziavano però per i colori e la tipologia di stoffa. Come biancheria intima le donne romane indossavano la “fascia pectoralis o mammillare”, una specie di reggiseno a fascia, “che è bene sia imbottito se il seno è troppo piccolo” come consiglia Ovidio; ed uno slip piuttosto sgambato, il”subligar” che lasciava scoperto l’ombellico. Così abbigliate facevano anche bagni ed esercizi ginnici presso le terme come ci testimonia il mosaico delle ragazze “in bikini” della villa romana di Piazza Amerina in Sicilia (IV secolo d.C. circa).Come sottoveste le donne romane indossavano una TUNICA INTERA in lino, e come veste vera e propria la STOLA, lunga sino ai piedi e arricchita da molte pieghe.La stola era più ampia della tunica con maniche non applicate, ma ricavate dall’ampiezza del tessuto, qualche volta non era neppure cucita bensì assicurata alle spalle con fibue.
L’abito poteva essere completato da una cintura in vita
accompagnata da una seconda sotto il seno in stoffa o in pelle, trattenuta da
una fibbia di metallo o semplicemente annodata.Per mostrarsi in pubblico, le
matrone indossavano sopra la stola anche la PALLA, un ampio mantello di stoffa
molto leggera da drappeggiare liberamente intorno al corpo e sul capo, o il
RICINUM, un mantello di tela leggera che copriva spalle e braccia e giungeva
fino ai talloni.
.Nel corso del III secolo d.C. le romane modificarono
totalmente il modo di abbigliarsi e indossarono, come gli uomini, solo ampie
tuniche con lunghe maniche, di svariati colori e riccamente decorate, strette
in vita da una cintura.L’abbigliamento femminile a differenza di quello
maschile era vivacemente colorato: preferiti erano il bianco e le tinte
pastello per le giovani, le tinte neutre ed il rosso porpora per le più
anziane. Come ci ricorda il poeta Ovidio “…v’era tutta la gamma degli azzurri,
dal color del cielo a quello delle nuvole a quello del mare, il colore dorato
del vello del montone, lo zafferano, il viola dell’ametista e il colore di una
pallida rosa, il verde ghianda e il verde mandorla.Le donne romane delle classi
alte dovevano risultare piuttosto vistose, quindi gli abiti venivano arricchiti
da molti gioielli ed accompagnati da un vistoso trucco ed alte acconciature.
bello e interessante
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